Shadow of the colossus, recensione

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view post Posted on 1/5/2009, 14:15
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Quella che Shadow of the Colossus percorre è un strada diversa da quella intrapresa da Ico (quest'ultimo, peraltro, è ridistribuito sul mercato proprio in questi giorni).
Una strada unica, invero più perigliosa (perché bissare un capolavoro è sempre un'impresa), ma non per questo meno ammirevole.

Differenti sono soprattutto i luoghi, più vasti ed aperti.
Non più un castello simmetrico e carico di lirismo, ma una regione dove “albero e foglia” hanno preso il sopravvento su quel che rimane di ignote civiltà, mai esistite nel mondo-di-qua ma indubbiamente antiche e degne di un tacito rispetto qualora si calchi il suolo e si miri il cielo della virtualità.
Circondato dunque da una natura ancestrale si fa largo un viaggiatore, finito in queste terre non per caso ma per ridestare l'amata Mono, una fanciulla che viene da lui deposta, esanime, sulle fredde pietre di un altare.
Sarà Dormin, un essere dalla voce poco rassicurante, ad indirizzarci verso la cerca e l'abbattimento dei sedici colossi, sarà nello “Shrine of Worship” che ci ritroveremo dopo ogni singola vittoria, per assistere alla demolizione degli idoli ivi allocati.

Per scovare ognuno dei titani occorrerà anzitutto ergere la propria spada all'esterno, laddove vi è luce.
La lama inizierà così a riflettere una serie di raggi che, una volta unificati in un unico fascio luminoso, indicheranno la direzione da prendere.
Giunti da questi atipici nemici (costituiti di pietra, metallo, pelliccia, erba, muschi, licheni e quant'altro) occorrerà colpirli a morte nei punti deboli indicati da un apposito simbolo, previo ovviamente l'averli scalati. Per quanto poi concerne lo scalare, fanno eccezione i più piccoli che sostituiscono l'imponente mole dei cugini con una dose additiva di scaltrezza ed agilità.
I sedici differiscono tra di loro per aspetto e caratteristiche: alcuni sono volatili ed altri acquatici, taluni bipedi, tal altri quadrupedi; delle volte richiederanno inseguimenti in sella ad Agro, delle altre l'arco sarà più utile della spada. Da apprezzare in queste circostanze risulta poi l'interazione richiesta con gli ambienti circostanti, peccato solamente che fare degli esempi ai lettori equivarrebbe a rovinar loro la sorpresa e, soprattutto, la tattica.
Di certo è singolare come puzzle solving, platform ed epos siano fusi in un tutt'uno così ben bilanciato.

Certamente non tutti ameranno i consigli/indizi con cui Dormin si prodigherà nel caso il giocatore tentenni troppo sullo studio del pattern avversario, ma il modo con cui questi bestioni si dimenano e quello con cui il protagonista tenta di rimanere saldo alle pareti a cui è attaccato (almeno fin quanto la sua resistenza fisica glielo concederà) danno al tutto il giusto tocco di credibilità.
Le animazioni quasi sottolineano lo spirito innato e furente di sopravvivenza, ed è un reparto (prova ne sia la meticolosa ricostruzione del destriero) in cui gli addetti ai lavori hanno mostrato un'innegabile maestria e cura del dettaglio.
In verità estendiamo la lode a tutto il reparto grafico: che si parli delle scelte cromatiche o della sontuosa atmosfera generale (alcuni cali di frame rate -non così nocivi in un'avventura di questo genere- sono sopportabili, considerando che l'hardware è qui chiamato agli straordinari).
Le composizioni musicali, firmate Kow Otani, poi, non solo sono splendide, ma in più interagiscono con quanto avviene su schermo (la meta verso la quale tutte le colonne sonore videoludiche dovrebbero volgere lo sguardo).
Da encomiare infine la libreria degli effetti sonori, capace di animare questo mondo “feerico” già visivamente eccezionale.

Eppure l'avventura in questione, a dispetto del nome, non è solo incentrata sui colossi. O meglio: non dovrebbe esserlo interamente (fermo restando che ognuno dei sedici è foriero di elevati momenti videoludici).
In questo “viaggio” è racchiusa una piccola terra perduta che vale seriamente la pena di esplorare, più per delle pause “contemplative” che per la ricerca di lucertole speciali ed alberi da frutto (le carni dei rettili ed i frutti consentono al nostro di aumentare rispettivamente la resistenza e l'energia)
Vallate nelle quali cavalcare, precipizi da scrutare con sgomento e boschi tali che non meritano certo di essere attraversati di sfuggita, senza guardarsi intorno e come se si fosse in un comune, asettico corridoio (l'ambientazione ed il level design cui molti videogiochi odierni, non ambiziosi come quello in analisi, ci hanno ahinoi abituato).
Ai microfoni di Gamesurf, alla domanda “quale dei due aspetti secondo lei prevarrà sul gusto dei giocatori e quale era il desiderio in fase di sviluppo?”, Ueda Fumito ha detto: “dipende dai gusti. Senza dubbio la maggior percentuale dei giocatori prediligerà la fase degli scontri, sebbene non manchino gli estimatori dell'esplorazione. Abbiamo appena cominciato a vendere in Giappone -l'intervista risale a novembre- ed alcuni utenti che abbiamo ascoltato hanno appunto manifestato il loro apprezzamento per l'esplorazione proposta.
Per noi l'ideale è che, ovviamente, ambedue le parti vengano considerate con il medesimo riguardo.
Comunque la questione è più complessa: non è che esista un modo unilaterale per giocare Shadow of the Colossus”.

Recensire è anche, se non soprattutto, dire la propria, e per chi scrive qualcosa pur si perde se non si nutre alcuna meraviglia per questi luoghi virtuali, se non si prova un moto di nostalgia una volta spenta la console.
Poi, certo, quanto scritto non è né vuole essere un libretto di istruzioni (né tanto meno può esserlo).
Infondo, comunque lo si giochi, Shadow of the Colossus lascerà il segno.

COMMENTO


L'avventura in questione, a dispetto del nome, non è solo incentrata sulla ricerca e l'abbattimento dei colossi: o meglio, non dovrebbe esserlo interamente (fermo restando che ognuno dei sedici avversari è foriero di elevati momenti videoludici e che puzzle solving, platform ed epos siano qui fusi in un tutt'uno splendidamente bilanciato). In questo “viaggio” è racchiusa una piccola terra perduta che vale seriamente la pena di esplorare. Vallate nelle quali cavalcare, precipizi da scrutare con sgomento e boschi tali che non meritano certo di essere attraversati di sfuggita, senza guardarsi intorno e come se si fosse in un comune, asettico corridoio (l'ambientazione ed il level design cui molti videogiochi odierni, non ambiziosi come quello in analisi, ci hanno ahinoi abituato). Recensire è anche, se non soprattutto, dire la propria, e per chi scrive qualcosa pur si perde se non si nutre alcuna meraviglia per questi luoghi virtuali, se non si prova un moto di nostalgia una volta spenta la console. Poi, certo, quanto scritto non è né vuole essere un libretto di istruzioni (né tanto meno può esserlo). Infondo, comunque lo si giochi, Shadow of the Colossus lascerà il segno.

PREGI


Un piccolo mondo fiabesco, creato con una grande cura per il dettaglio audiovisivo, da esplorare ed ammirare.
I “combattimenti” contro i sedici colossi conciliano puzzle solving e riflessione con l'epos delle lotte e le sessioni platform.
Splendida colonna sonora che, durante gli scontri contro i titani, si dimostra pseudo-interattiva con l'azione su schermo (la meta verso la quale tutte le composizioni musicali videoludiche dovrebbero volgere lo sguardo)

DIFETTI


Aldilà dei percorsi da intraprendere per scovare i colossi, la bellezza e l'ampiezza delle lande di Shadow of the Colossus invitano alla libera esplorazione. Non tutti avranno comunque il piacere di “perdersi”.

RECENSIONE PRESA DA GAMESURF
 
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